Eventi

Performance teatrale
LA TERRA E IL FUOCO STORIA DI UN’INQUISIZIONE
Di e con Paola Cereda
Musiche originali di Daniele Caldarini
Con Joé Satriano (cantore)
Progetto Luci: Amerigo Varesi
Scenografie: Isabella Corni, Daniela Simico
Costumi realizzati da Maria Malerba
Fotografie: Bamboo Productions; Paolo Librizzi
Produzione: NARRATIVE STUDIES.
Progettazione e ideazione "I percorsi del magico" Grazia Stefania Ballatore,
Lauretta Guidetto, Ezio Mattio.

"Magia" viene dalla radice "mag" che vuol dire "potenza", poiché l'immaginazione magica supporta tutti gli stati di impotenza impedendo a chi li sperimenta di avviarsi verso le regioni desolate della rassegnazione. Le masche medioevali erano custodi e attive protagoniste di questa sfera del magico, e la necessità di colpevolizzarle nasceva anche da conflitti interni alla cultura, in cui il malessere della società doveva trovare una ragione delle proprie anomalie riversando le sue frustrazioni su fasce emarginate minoritarie. La condanna scaturiva dall'intenzione di demonizzare chi non si adattava alle regole della collettività: la strega impersonava la periferia, la trasgressione, diventando il "capro espiatorio" a cui attribuire origini e motivi di situazioni negative per la comunità.
“La Terra e il Fuoco. Storia di un’inquisizione” è un monologo in musica di e con Paola Cereda scritto partendo dagli atti originali di un processo che si svolse nel 1470 nel Biellese, a Salussola, nella Chiesa di SS. Gervasio e Protasio. Il documento originale, in latino, è conservato presso l’Archivio storico di Biella in un fascicolo cartaceo intitolato “Processo contro ed avverso Giovanna, moglie di Antoniotto de Monduro di Salussola, già di Miagliano, per stregheria” tradotto nel 1913 da Cesare Poma. Giovanna venne accusata dai parenti e vicini di casa di essere “strega”, e dunque torturata e condannata al rogo dove venne bruciata il 17 agosto 1471.
Pur partendo da uno studio degli atti del processo, la drammaturgia non è costruita sulla contrapposizione tra gli inquisitori e la mascha e non ha le caratteristiche della ricostruzione storica, ma dà spazio alla dimensione della mascha in quanto essere umano e in quanto donna. Qual era il rapporto di Giovanna con la Madre, cioè con la Terra e con le erbe? Cosa significava per lei curare attraverso le erbe, maneggiare la vita e la morte sapendo di essere riconosciuta in quanto guaritrice e allo stesso tempo temuta per lo stesso motivo? L’autrice e interprete immagina il percorso dalla cattura al rogo e cerca di dipingere le emozioni, i pensieri, le paure di una donna che vede – e sente – la fine che si avvicina.
La Terra è la Madre, la natura, il femminile. Il Fuoco è il Padre inteso come la giustizia dell’uomo, l’elemento maschile del testo. I due simboli non sono in opposizione ma scivolano l’uno dentro l’altro: Giovanna nasce dalla Terra, dalla Madre; arriva al Fuoco attraverso il quale diventa cenere tornando così alla Madre. Il rogo finale non è morte ma rinascita in forma nuova, un uroboro disegnato anche dalla struttura ad anello del testo, che si apre e si chiude con il cantore che racconta al pubblico gli ultimi istanti della vita della mascha.
Il cantore, interpretato da Joé Satriano, è metafora della tradizione orale e filo rosso che con le sue canzoni e i suoi racconti accompagna lo spettatore lungo il cammino della storia di Giovanna.
Le musiche originali sono di Daniele Caldarini e supportano interamente il testo, alternando ricostruzioni sonore di ambienti a canzoni e melodie dove le tastiere si uniscono a strumenti tradizionali quali violino, cornamusa e flauto.



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